8 aprile 2014
Jobs Act: molto rumore per nulla… o peggio?
A circa 3 settimane dall’annuncio del 12 marzo scorso, è stato finalmente depositato al Senato il testo del disegno di legge con il quale il Governo chiede al Parlamento la delega all’adozione di molteplici interventi in materia, tra l’altro, di riordino delle forme contrattuali del lavoro.
La lettura dell’articolo 4 del DDL a ciò dedicato, comporta – a seconda delle pregresse aspettative – una cocente delusione o un’amara conferma. Specialmente se – in un’ottica sistemica – si leggono i principi e criteri direttivi della delega in combinato disposto con quanto previsto dal D. L. 34/14 in materia di contratti a termine ed apprendistato.
Il primo elemento che va sottolineato è quello relativo ai tempi: tempi di entrata in vigore delle misure, e tempi di “durata” delle misure stesse.
In estrema sintesi:
1) le “soluzioni” ipotizzate oggi nel DDL del Governo potranno essere concretizzate tra circa un anno (se non di più);
2) la natura “eventuale” e “sperimentale” delle misure in tema di contratto a tutele progressive e di salario minimo rischiano di rendere l’odierno DDL una sorta di “libro dei sogni”.
Passando all’esame dei singoli “criteri direttivi” della delega che il Governo mira a farsi concedere dal Parlamento, essi appaiono – a dir poco – generici (con conseguenti profili di incostituzionalità ex art. 76 della Costituzione) e tutt’altro che incisivi.
Per non dire del fatto che puntano all’inserimento, nei futuri decreti legislativi, di “elementi” che nulla hanno a che vedere con articolati aventi forza di legge. Ci riferiamo, in particolare, alla delega sub lett. a) che affida al futuro d.lgs. compiti di “ricerca” invece che di normazione (“individuare ed analizzare tutte le forme contrattuali”).
Scendendo ancor più nel merito della norma:
1) contrariamente a quanto affermato negli indirizzi forniti all’esito del CdM del 12 marzo scorso, gli interventi di disboscamento (derubricati a “semplificazione”) delle molteplici e fallimentari forme contrattuali del lavoro sono indicati come “eventuali”;
2) l’introduzione del contratto unico a tempo indeterminato con tutele progressive, indicato dal Governo come “l’obiettivo a tendere” dell’intera riforma, nel DDL è indicato:
a) come eventuale (può essere previsto…);
b) e per di più come introducibile in via meramente sperimentale.
E qui viene da chiedersi quale datore di lavoro assumerà un dipendente con un contratto “sperimentale” e quanto potranno “divertirsi” i Giudici del Lavoro nel dirimere le relative (evidentemente inevitabili) “controversie sperimentali”.
Quanto, poi, all’altro elemento “fondante” delle politiche del lavoro impostate dal Governo, anche il “compenso orario minimo” universale per il lavoro subordinato, anche in questo caso il DDL è “titubante”, riservando al Governo la possibilità (in sede di decreti delegati) di prevederne una introduzione solo sperimentale.
In questo caso la prudenza appare peraltro d’obbligo, dato che tale “minimo” dovrebbe essere applicato a “contratti” ad oggi ignoti nella loro futura conformazione giuridica e, peraltro, in un momento nel quale tale ipotizzabile aumento del costo del lavoro dovrà essere imposto ad aziende che – ottimisticamente – saranno, di qui ad un anno, “convalescenti” rispetto alla crisi.
Ma, leggendo questa norma in uno col D. L. 34/14, il “criterio direttivo” della delega che desta maggiori perplessità, è quello contenuto nella lett. d) dell’art. 4 del DDL, che prevede la possibilità di estendere – senza “eventualità” e “sperimentalità” – la possibilità di ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio (od occasionale) mediante l’elevazione del tetto reddituale attualmente previsto per tali tipologie di lavoro.
Ebbene, l’esame congiunto del D.L. 34/14 e dell’articolo 4 del DDL c.d. “Jobs Act” svelano – a mio avviso – una profonda divaricazione (per usare un eufemismo) tra le politiche del lavoro “annunciate” e quelle che il Governo sta “concretamente” trasfondendo in atti e provvedimenti normativi.
Infatti, l’intero impianto di queste due fonti normative privilegia in maniera spiccata ed immediata il lavoro a termine, parcellizzato e “flessibile”, attraverso:
1) l’ampliamento del perimetro dei contratti a termine acausali;
2) l’eliminazione dell’obbligo di parziale trasformazione dei contratti di apprendistato;
3) la conferma (ancorché previa “semplificazione”) della miriade di altri contratti “non a tempo indeterminato” senza alcuna previsione di loro eliminazione e, anzi, con la estensione della possibilità di utilizzazione dei buoni lavoro e delle prestazioni accessorie;
4) l’abbandono di un deciso perseguimento di un punto fondante del programma di Governo, quale il contratto unico a tutele progressive (derubricato ad ipotesi sperimentale e, per ciò stesso eventuale).
Personalmente, ritengo che – dal momento che i decreti delegati previsti dal DDL vedranno la luce tra non meno di un anno – assistiamo al paradosso per il quale più ci si allontanerà (auspicabilmente) dalla crisi economica, più assisteremo ad una ulteriore precarizzazione dei rapporto di lavoro e ad un incremento dei rapporti di lavoro non stabili né duraturi.
Ma comunque, anche a non voler concordare con la mia ipotesi, ritengo innegabile la constatazione per la quale il Governo sta predicando “lavoro buono ed a tempo indeterminato” e razzolando contratti a termine, ampliamento della flessibilità e precarietà sempre più spinta.
Scritto il 24-4-2014 alle ore 12:44
tante chiacchiere per niente, non so cosa si vuol dimostrare ma per chi ci capisce qualche cosa solo una grande confusione dalla Fornero a venire avanti.SI DOVEVA INTERVENIRE su una riduzione di costi per il lavoro, non modifiche che sostanzialmente non dicono niente, 5 proroghe capirai, per l’apprendistato???? sostanzialmente cosa cambia, solo la stabilizzazione e qualche altra cavolata. Dovevano reinserire la 236 per favorire i licenziati da piccole aziende ……
era una bella agevolazione….mi sbaglio??????
se vogliono creare occupazione devono ridurre il costo del lavoro ma non e’ con questa manovra che a mio giudizio si creano posti di lavoro
Scritto il 30-4-2014 alle ore 08:28
La cirsi economica nel nostro paese non è determinata dall’eccessivo costo del lavoro ma semplicemente dalle scelte razinali degli mprenditori che per massimizzare il proprio profitto hanno delocalizzato migliaia di posti di lavoro dai paesi industrializzati ai paesi in via di sviluppo. Parlando in termini semplicistici le multinazionali hanno tenuto per sè una fetta più grossa della richezza prodotta. Questa situazione, accompagnata dal progressivo aumento del petrolio determinato dai fatti post 11/09 e dalla bolla finanziaria che ha costretto i governi ad intervenire in favore del sistema creditizio drenando risorse di bilancio e incrementando i debiti sovrani, ha fatto esplodere la crisi nei paesi industrializzati. L’ulteriore precarizzazione in nome del dio “flessibilità” non farà altro che acuire questa disparità e nel lungo periodo fiaccherà la tanto annunciata e sospirata ripresina.
Scritto il 3-5-2014 alle ore 10:07
Analisi tutte corrette, che peraltro non tengono conto di alcuni elementi:ad es.: il grande ostruzionismo che viene da chi è stato immobile da decenni , ma anche solo dal febbraio 2013, (pur presentandosi come il nuovo e il più efficiente !!??),salvo chiedere tutto in poche settimane.!
Vorrei la stessa tenacia e insistenza contro chi non propone nulla e si limita a condizionare e frenare le possibili novità danneggiandole o sterilizzandone gli effetti.
Vorrei vedere, chi fin qui, è stato immobile a guardare con le mani in mano, senza sostenere riforme necessarie, se è altrettanto determinato ora a conservare lo spirito del piano per il lavoro, come la semplificazione evidente col contratto unico a garanzie crescenti, e l’agenzia per la garanzia giovani.
In sostanza basta coi freni a tutto, per pretendere tutto e subito dagl’altri ben sapendo d’aver messo le basi per rendere ogni novità di difficile attuazione.
Il giochino ( poco astuto ) oltre ad essere perverso e autolesionista ha il solo senso di mettere sullo stesso piano, chi oggi prova a cambiare le cose con chi non è stato mai in grado di cambiare/proporre nulla.
Questo nella pietosa speranza che qualcuno non faccia una semplice valutazione dei due diversi comportamenti perchè altrimenti si capirebbe che qualcuno ha il coraggio del cambiamento mentre altri esprimono solo l’inutilità di critiche mai supportate da proposte; forse perché carenti o privi d’ idee e coraggio!.
Comunque comunico agli ostruzionisti che sono italiani anche loro e che quindi stanno agendo anche contro se stessi….. quanto gli conviene ???… facciano loro!!